Il fenomeno del tarantismo (Puglia, 2007)
Il lavoro di ricerca, svolto principalmente ad Alessano e Galatina, vuole raccontare attraverso le illustrazioni un fenomeno presente in più contesti nel mondo: il tentativo, umano, di esternare e condividere quelle parti della nostra natura che non comprendiamo pienamente.
Per l’elaborazione delle immagini ho tratto spunto dai filmati di Gianfranco Mingozzi e Diego Carpitella, da testi e fotografie inerenti all’argomento, dai dialoghi nel Salento con gli anziani che ricordano dal vivo Ernesto De Martino; dalle musiche popolari del luogo, che ascolto in prevalenza nei concerti come reinterpretazioni culturali, ormai apprezzate e di moda in tutta Italia.


“Il tarantismo non è un avvelenamento per il morso di un ragno né una malattia psichica, bensì “un fenomeno culturale”. Fin dal Medioevo la Chiesa tenta di sopprimere i culti pagani. L’Illuminismo, nel ‘700, cancella l’aspetto mitico e magico del fenomeno: il tarantismo inizia a declinare. Ma...il “pungolo” esiste da sempre e tuttora e ovunque resiste in ciascun individuo, come un insieme di conflitti e sofferenze interiori. Paure inconsce legate a esperienze traumatiche. L’ ”Apulia” subisce per secoli le invasioni dei Saraceni provenienti dal mare e le numerose stragi causate dall’epidemie. Sacrifici e stancanti attività lavorative segnano i volti. Durante l’estate, nei campi, sotto il sole, uomini e donne vengono punti dai ragni...Strano, però. Ogni anno, nello stesso periodo, all’avvicinarsi della festa di SS.Pietro e Paolo, molti di loro vengono “ri – morsi”... (Ernesto De Martino, che nel 1959 osservò e studiò il tarantismo come fenomeno culturale, intitolò il suo libro: “La terra del rimorso”). Specie le donne si buttano a terra isteriche. Soffrono e liberano così il loro Dolore: la fatica nei campi da coltivare, la sottomissione agli uomini, l’eros precluso, i pesanti silenzi, la pressione sociale. Le crisi esistenziali e i momenti difficili, specie quelli in età adolescenziale, vengono accettati, integrati e sostenuti dalla cultura, dalla tradizione della gente del luogo; da qui il “fenomeno culturale del tarantismo”. Le tarantolate danzano freneticamente e sono supportate dalla musica che allontana il malessere. E risana. I suonatori ricercano la “giusta” musica, quella che possa guidare alla guarigione la persona morsa dal ragno. Prevalentemente a S. Paolo (di cui si dice sopravvisse al veleno di un serpente) spetta la scelta compassionevole di concedere la grazia. Elementi interiori come stati emotivi e idee si mutano nel tarantismo in simboli: la “corda” (ad esempio dell’altalena) con la quale, talvolta, i tarantolati si lasciano penzolare nel vuoto come ragni. L’ ”acqua” purificatrice, in cui ci si immerge nelle fonti o che si beve al termine delle crisi isteriche. La “danza”, che è una fuga risolta nel ballo. Negli ambienti familiari i parenti sono un pubblico che assiste la tarantolata avente fra le mani la figura del santo. Lei lo implora di soccorrerla imitando il ragno o mimando il gesto di schiacciarlo a ritmo di musica, suonata dai suoi compaesani. In questa circostanza il morso del ragno viene vissuto come pretesto per manifestare le sofferenze represse. Per liberarsi dal dolore nascosto”.





















